Cantastori
Il più tipico cantastorie meneghino fu un certo Enrico
Mulaschi, meglio conosciuto come "Barbapedana", cioè giovanotto.
Aveva dato segni precoci della sua vocazione; a nove anni infatti,
quando era occupato come "piccolo" nell'osteria di Paullo Lodigiano, era
rimasto estasiato udendo un cantastorie.
Abbandonò però i "quintini" per affrontare il pubblico della strada solo
a diciassette anni.
Viveva in una povera casa in un vicoletto di Porta Tosa, ora scomparso,
e girava di osteria in osteria con la chitarra a tracolla, un cappello a
tesa larga adorno di una coda di scoiattolo e una zimarra color tabacco.
Il repertorio di questo cantastorie constava di antichi canti popolari
da lui raccolti e rimessi insieme a modo suo; inventò anche versi
strampalati ma geniali.
Barbapedana sapeva scegliere le sue canzoni a seconda degli ascoltatori:
per le famiglie aveva il repertorio castigato, per le coppiette che si
appartavano in una sala o in fondo alla toppia sceglieva canzoni
piccanti. Accompagnando il suono della chitarra con un fischio dolce,
diventò presto popolare tanto che persino la duchessa di Genova lo
invitò a cantare a Stresa.
Tanto popolare che una volta si usava dire:
"L'è un Barbapedana", è un cantastorie.
Precursore degli odierni cantautori, ironizzava su se stesso in una nota
canzone:
"Barbapedana el gh'aveva on gilé
senza el denanz cont via el dedree
cont i oggioeu longh ona spana
l'era el gilè del Barbapedana!"
Opera di Berra Alessandro