"Ricordo che mio padre diceva di avere capito, leggendo i
Promessi sposi, l’intenzione, che Manzoni aveva nutrito, di
conferire al romanzo un carattere di universalità, dando vita a
un’opera che contenesse molte storie e che accogliesse i diversi
livelli o generi costruiti nei secoli dalla ricerca degli
scrittori. Manzoni aveva scelto la forma del romanzo, ma dentro
questa forma aveva calato la storia, la riflessione sulla
storia, l’indagine sull’uomo diviso tra possibilità eroiche e
abissi di iniquità, i movimenti collettivi, le degenerazioni
della vita civile, l’ardimento e la viltà. Sopra tutto Manzoni
aveva scelto di mescolare i due registri, del tragico e del
comico, su cui fin dagli antichi la rappresentazione delle cose
umane si era disposta. La percezione di questa singolarità che
il romanzo possiede rende ragione della qualità stilistica degli
esperimenti figurativi che sono documentati nella raccolta oggi
esposta. Da una parte vediamo l’artista sostare su figure
trattate con intento descrittivo, con forte indugio su
particolari di abbigliamento e di gestualità mimica, come è
nelle immagini di don Abbondio o dei bravi, che attestano la
dimensione comica, o tragicomica del romanzo. Dall’altro lato ci
si presentano le sequenze tragiche di carri degli appestati o
della madre di Lucia, trattate con modi severi e pensosi, quali
isolate in un silenzio senza commenti. Non mancano puntate in
direzione epica, che si possono cogliere nella rappresentazione
della rivolta milanese e nell’assalto ai forni. Le tavole oggi
esposte devono essere guardate come un esercizio pittorico teso
a cogliere quell’unità molteplice del romanzo manzoniano che ha
destato l’interesse di molte generazioni di lettori, tra i quali
anche noi abbiamo posto."
Claudio Scarpati
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