DODICI TEMI MANZONIANI DI
GIORGIO SCARPATI
Illustrare “I PROMESSI SPOSI” è
compito che, ad onta delle gravissime difficoltà che presenta,
ha solleticato molti artisti di ieri e di oggi: le difficoltà
accennate derivano in primo luogo dal fatto che allorquando
uscì, nel 1840, l'edizione definitiva del romanzo,
curata dallo stesso Manzoni, le illustrazioni di Francesco
Conili - iconograficamente seguite a quelle delle edizioni del
Batelli e del Ducci (1827) nonché dalle tavole di Gallo Gallina
(1829), di Roberto Focosi, di Bartolomeo Pinelli (1829-30), e
contemporanee agli schizzi dell'Hayez - avevano sancito moduli
raffigurativi dai quali, in linea di massima, non si staccò
neppure, 29 anni più tardi, Tranquillo Cremona. Per cui gli
artisti che successivamente si proposero
d'affrontare
quel vasto tema illustrativo non si discostarono in modo
sostanziale dalla tradizione acquisita: e lo stesso Giorgio De
Chirico ce ne fornisce un esempio piuttosto recente. Semmai chi
aveva cercato di conferire alla propria interpretazione un
significato più spirituale era stato - per l'edizione Hoepli del
1900 - Gaetano Previati. Ed è proprio a quest'ultimo -
limitatamente alla libera trasfigurazione del soggetto - che ci
sentiremmo di accostare le tavole di Giorgio Scarpati, per nulla
condizionate da riferimenti realistici o da prevalenti interessi
anedottici. Scarpati è artista di profonda ispirazione
francescana e codesta sua vena mistica lo porta ad una
stilizzazione che decanta il soggetto dai fatti caduchi,
tendendo a coglierne l'intima essenza. L'individuazione dei
caratteri diviene così un processo tutto interiore che deve
comunque trovare una sua esatta rispondenza formale. Il colore -
pur condizionato alle esigenze della tecnica a cera - non è
dimentico di quegli affreschi cui l'artista fruttuosamente si
dedicò, la composizione rispetta sempre un ritmo rigoroso,
severamente scandito. I singoli personaggi sono perciò
individuati attraverso quei tratti fisionomici che meglio ne
fanno risaltare la psicologia. Don Abbondio, ad esempio, appare
oppresso e rimpicciolito nei confronti degli eventi che lo
sovrastano. Renzo manifesta elementari sentimenti d'ira o di
rassegnazione, Lucia è il dolce riflesso di un'illuminata e
fiduciosa
innocenza, la disputa fra don Rodrigo e padre Cristoforo oppone
la prepotente e spietata supponenza del signorotto alla
consapevole umiltà, non disgiunta da un'antica fierezza del
cappuccino, la Monaca di Monza offre la
maschera d'un viso di porcellana a celare i segreti tumulti
della sua coscienza, l'Innominato è una fantomatica immagine
alla ricerca di sé stessa, il cardinale Federigo ripete i gesti
di pietà cari ai pittori che glorificarono i fasti della
famiglia Borromeo, don Ferrante è tutt'uno con la sua scienza:
il popolo in rivolta si fa massa amorfa e terribile, la peste
ammanta d'orrore lo scampanio ossessivo dei monatti, fa madre
che regge la figlia estinta sulle braccia è lo specchio d'un
dolore immane che solo da una fede senz'ombra può trarre
conforto.
A guardar bene sono proprio
questi i sentimenti che il Manzoni proponeva ai suoi lettori:
semplici ed elementari come erano molti dei suoi personaggi,
complessi ed attorti per le implicazioni recate dagli eventi.
Giorgio Scarpati ha meditato il testo ed ha soppesato il valore
ed il significato di ogni mezzo espressivo; dal filtro del suo
pensiero si è snodato un discorso figurativo sobrio ed accurato,
controllalo ed intenso. Sul filo d'un equilibrio estetico
raggiunto attraverso la selezione del linguaggio egli ha attuato
un procedimento narrativo - la narrazione per immagini - che
risponde intimamente allo spirito del capolavoro manzoniano.
Mario Monteverdi
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