I PROMESSI SPOSI DI GIORGIO SCARPATI - Rassegna di studi grafici e di bozzetti preparatori - dal 14 al 29 aprile 2007

 

Inaugurazione sabato 14 aprile 2007, ore 17.00 - Salone Giovanni Paolo II – Robbiano di Giussano (MI)

LA MOSTRA

- Progetto della Mostra
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- Serate Culturali
-
Come raggiungerci

- Il Circolo Culturale

 

LA VITA

- Biografia
-
Autoritratto a carboncino (1946)
-
Autoritratto a olio (1948)
 

I PROMESSI SPOSI DI SCARPATI

- Analisi di Dom Giovanni Brizzi
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Le tavole grafiche
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I bozzetti
-
Critica di Mario Monteverdi

- Illustrare Manzoni di G. Gaspari
-
Documenti della Casa del Manzoni

- Opere delle 5^ Isa Giussano
 

CATALOGO DELLE OPERE

- Presentazione del Sindaco Cassina
-
Critica di Luciano Caramel

 

STORIA DELLA COLONNA INFAME

- Introduzione di Edilio Marelli
-
Disegni
 

BIBLIOGRAFIA

- I Quaderni del Ballerini
- Bibliografia

 

TESTIMONIANZE

- Il Sindaco Franco Riva

- Claudio Scarpati
-
Erminio Barzaghi
-
Ivana Mononi Montani

- Istituto Statale d'Arte di Giussano
- Edilio Marelli
 

 

ILLUSTRARE MANZONI

 

"Dipingere con l’immaginazione"

 Era accaduto per Ariosto e Tasso. E anche per Manzoni sembrò una cosa ovvia, conseguente alla formidabile resa visiva della sua scrittura – fatto, in realtà, tutt’altro che comune in Italia, e tanto più nell’ambito della prosa –, per cui vi fu chi pensò subito a illustrare il romanzo. Accadde quando ancora mancava qualche mese all’uscita della prima edizione, quella pubblicata da Vincenzo Ferrario nel maggio 1827. Il manifesto dell’editore Ricordi, che annunciava le dodici litografie da inserire al loro luogo nell’opera, diede di fatto la stura a una impressionante sequenza di interpretazioni figurative, a conferma – ben prima che lo stesso Manzoni si decidesse a proporre la sua scelta – dell’enorme successo popolare dei Promessi Sposi. Nel romanzo, si giustifica uno dei primi sperimentatori, Manzoni ha organizzato il suo racconto «con tale precisione, forza e verità», che chiunque abbia la capacità di tenere in mano la matita si sente «invogliato di rappresentare con linee quanto l’autore seppe con rara maestria dipingere con l’immaginazione».

La quantità può esimere dal giudicare della qualità. Ma tra le sessanta e più ristampe pirata del romanzo apparse nei tredici anni che separano l’edizione Ferrario da quella che Manzoni volle illustrata dall’officina di Gonin, s’impone almeno di ricordare i disegni di Mariano Falcini per l’editore fiorentino Passigli Borghi, nel 1829; l’edizione del solo Passigli, nel ’36, illustrata da Busato e Viviani, e la torinese di Pomba, dell’anno successivo, dovuta a Demarchi e Gandini. Merita aggiungere all’elenco, perché rappresentano forse il più illustre dei tradimenti figurativi inflitti al romanzo, le venti tavole disegnate da Bartolomeo Pinelli fra 1830 e ’31, con quella singolare «romanizzazione» di protagonisti e paesaggio, del tutto estranea allo spirito e alla scrittura manzoniani.

La scelta di Manzoni per Gonin impose agli illustratori, dal 1840 in poi, di misurarsi con la traduzione visiva giocoforza più autorevole (anche se neppure qui sono mancati i dissensi sulla qualità della scelta: comunque categorica, se solo si consideri che nel registro delle alternative respinte s’incontra anche il nome di Hayez).  È da credere che Gonin rappresentasse al meglio quell’ideale di schietta e sicura invenzione popolareggiante che Manzoni sentiva come l’unico adatto ad accompagnare il tentativo, inconsueto in Italia, di rendere «popolare» un testo scritto; nello stesso giro di mesi in cui veniva pubblicata la «quarantana», si può aggiungere a questo proposito, l’editore riproponeva significativamente la stessa équipe di disegnatori e incisori, e l’analoga soluzione grafica, per le Poesie milanesi di Carlo Porta e di Tommaso Grossi. 

E del resto, se si guarda di poco indietro alla vicenda biografica di Manzoni, riesce difficile non rendersi conto della singolarità, addirittura dell’eccezionalità, di molte altre sue scelte, e sempre della stupefacente coerenza degli esiti che comportarono. Se poco è possibile dire della conversione, nell’episodio che resta il più clamoroso e insieme il più gelosamente nascosto dell’intero suo itinerario umano, non si potrà che dire sofferta la scelta di rientrare a Milano da Parigi, ma nuovamente categorica. Era una scelta che metteva in conto anche un preciso ripensamento della propria attività di scrittore, disposto a rinunciare al «bello» ma non più al «vero». Gli Inni sacri e il Conte di Carmagnola avevano intanto attirato sul gruppo dei romantici lombardi l’attenzione dell’Europa intera: a dare il la era stato nientemeno che Goethe, che si era fatto anche prefatore entusiasta – a Jena nel 1827, poco prima della comparsa dei Promessi Sposi – di una raccolta delle opere poetiche di Manzoni: una consacrazione che non trova eguali nel panorama contemporaneo.

            Goethe lesse, in italiano, la prima edizione del romanzo, quella senza illustrazioni. Difficile pensare che quelle di Gonin sarebbero potute piacere all’ammiratore di Winckelmann e di Tischbein. Ma Goethe aveva comunque inteso la «novità» dell’opera, quella stessa novità che la stava imponendo anche in Italia, nonostante il romanzo fosse «genere proscritto» dalla nostra letteratura, e guardato con ferrea ostilità dai suoi occhiuti legislatori. Un romanzo che, per di più, aveva come «eroi» due contadini, e ambientato nell’inameno e caravaggesco Seicento, sembrava fatto apposta per venir sacrificato all’altare della tradizione. Così non fu, come tutti sanno: ed è un altro scherzo del destino che quella novità sia diventata tradizione a sua volta.

Con tutto questo ha dovuto misurarsi chi ha affrontato il compito di illustrare i Promessi Sposi. Dall’inizio del Novecento, una quarantina di artisti, a partire proprio dal 1900 dell’edizione Hoepli illustrata da Gaetano Previati, una pietra miliare della reinvenzione del racconto manzoniano: racconto che la resa illustrativa può ormai sottintendere se non addirittura aggirare, magari preferendogli – con estrema modernità – la metafora, l’allusione e il simbolo. Ma il volume intero è “marchiato” Previati: le quasi trecento illustrazioni, dalla pagina intera ai capilettera ai finalini, ne determinano appunto la stessa impostazione grafica, come era tradizione dei maggiori illustratori europei  dell’Ottocento, da Turner a Grandville a Doré, e come per i Promessi Sposi era appunto accaduto con il lavoro di Gonin. Ed ecco quindi, nel Novecento, i casi di Chiostri (Paravia, 1904), di Pasini-Bertini (Vallardi, 1916) e di Galizzi (Istituto Italiano d’Arti Grafiche, 1927), affiancati alle scelte diversissime, si dica pure incomponibili, di Guttuso, di De Chirico e di Sassu.

Qui trova posto, in questa affollata e problematica compagnia, il trattenuto epos di Scarpati. Ci conforta che questa iniziativa, volta a restituirgli il luogo che gli compete, confermi come nulla di quanto s’è qui accennato fosse fuggito alla sua lettura colta e consapevole: per questo, grato agli amici di Giussano di averlo coinvolto, il Centro Nazionale Studi Manzoniani ha voluto esser presente a questa doverosa riscoperta.

Gianmarco Gaspari

Direttore del Centro Nazionale Studi Manzoniani

 

 

 

CIRCOLO CULTURALE "DON RINALDO BERETTA" - ROBBIANO DI GIUSSANO (MI)