I PROMESSI SPOSI DI GIORGIO SCARPATI - Rassegna di studi grafici e di bozzetti preparatori - dal 14 al 29 aprile 2007

 

Inaugurazione sabato 14 aprile 2007, ore 17.00 - Salone Giovanni Paolo II – Robbiano di Giussano (MI)

LA MOSTRA

- Progetto della Mostra
- Orari
- Serate Culturali
-
Come raggiungerci

- Il Circolo Culturale

 

LA VITA

- Biografia
-
Autoritratto a carboncino (1946)
-
Autoritratto a olio (1948)
 

I PROMESSI SPOSI DI SCARPATI

- Analisi di Dom Giovanni Brizzi
-
Le tavole grafiche
-
I bozzetti
-
Critica di Mario Monteverdi

- Illustrare Manzoni di G. Gaspari
-
Documenti della Casa del Manzoni

- Opere delle 5^ Isa Giussano
 

CATALOGO DELLE OPERE

- Presentazione del Sindaco Cassina
-
Critica di Luciano Caramel

 

STORIA DELLA COLONNA INFAME

- Introduzione di Edilio Marelli
-
Disegni
 

BIBLIOGRAFIA

- I Quaderni del Ballerini
- Bibliografia

 

TESTIMONIANZE

- Il Sindaco Franco Riva

- Claudio Scarpati
-
Erminio Barzaghi
-
Ivana Mononi Montani

- Istituto Statale d'Arte di Giussano
- Edilio Marelli
 

 

GIORGIO SCARPATI. UNA VITA DI FEDE E DI ARTE

 

 

 Da Napoli alla Brianza

 

 Quella di Giorgio Scarpati fu poi una vita che per la maggior parte degli anni trascorse serenamente nella ‘sua’ Giussano, tra i famigliari e gli amici, priva di particolari vicissitudini, lontana anche, almeno apparentemente, dai grandi movimenti artistici, e dai loro protagonismi, che hanno animato questo secolo.

Nato a San Giorgio a Cremano, presso Napoli, il 19 gennaio 1908, da Nicola  Scarpati ed  Elisabetta D'Acunzio, che vi gestivano un'attività commerciale.

Giorgio ebbe per l'arte una vera e propria vocazione, che maturò prepotentemente fin dagli anni giovanili e che lo portò a frequentare l'Accademia di Napoli, studiando sotto la guida di Vincenzo Migliaro e di altri insegnanti, quali Volpe, Licata e Vetri.

La sua terra natale fu sempre presente a Giorgio Scarpati, ma furono proprio le difficoltà della vita napoletana a spingere la famiglia a lasciare la città  per trasferirsi a

Milano, nel 1929, dove trovò alloggio al  31  di  via Marcantonio Dal Re, alla periferia nord-occidentale del capoluogo lombardo.

 La Milano degli anni Trenta, che accoglie il giovane pittore con le sue nebbie, è una città con una vita artistica molto intensa e vivace. Sono gli ‘anni del consenso’ al fascismo, impegnato nel tentativo, che si rivelerà in gran parte vano, di dare vita ad una cultura fascista che si esprimesse anche nell'arte, nell'architettura come nella pittura; sono gli anni in cui si assiste alla trasformazione urbanistica del centro storico, sventrato per fare posto a sedi direzionali di società commerciali, finanziarie  ed assicuratrici; ma sono anche anni di  fermento artistico, in cui si vanno maturando personalità come quelle di Lucio Fontana, Ennio Morlotti, Renato Birolli, Aligi Sassu, l'allora giovanissimo Ernesto Treccani, il già affermato Mario Sironi, che daranno vita negli anni successivi ad alcune delle  espressioni più originali e moderne della pittura italiana del Novecento.

Giorgio Scarpati appare lontano da questo crogiuolo artistico, quasi isolato, ma con tutta consapevolezza, in una ricerca personale che aveva i propri pilastri nella fede, nella riflessione e nello studio.

 Gli esordi artistici

 Della produzione pittorica degli anni Trenta sappiamo solo che dipingeva molto e utilizzando tecniche diverse, dall'olio all'acquarello, con ampiezza di ispirazione e di soggetti. Nature morte, marine, paesaggi sono temi ricorrenti nella produzione dei decenni Trenta e Quaranta, per poi essere quasi abbandonati, messi in un canto dalla ricerca sempre più coinvolgente sulla figura umana. E non era certo una scelta, questa, dettata da ragioni di mercato; anzi, furono proprio quegli acquarelli e quegli oli che ritraevano delicati paesaggi a dargli le prime, modeste soddisfazioni economiche, il piacere di vedere qualche sua opera venduta alle prime mostre milanesi alle quali aveva modo di partecipare.

Lavorando in una bottega artigiana specializzata in pirografie e lavori a sbalzo su rame, Giorgio vi conobbe Maria Spinazzi, che sposò il 29 dicembre 1937 e con la quale andò a vivere in un appartamento al numero 1 di via Gentile (ora via Alberico Gentili), sempre a Milano.

Nel 1939 nasceva il figlio Claudio e le necessità della famiglia inducevano Scarpati ad accettare un più sicuro impiego in un ufficio periferico della STIPEL (poi SIP), posto che mantenne fino alla fine della seconda guerra mondiale.

I primi bombardamenti alleati su Milano, via via  sempre più frequenti e pericolosi, tra il '42 e il '43, costringono la piccola famiglia dell'artista a sfollare più volte da Milano per cercare sicurezza in Brianza. Il primo rifugio giussanese degli Scarpati fu a Birone, dove vennero ospitati saltuariamente, ma per periodi via via sempre più lunghi, dalla famiglia Tonelli.         

Nonostante i travagli e i disagi di quegli anni, Scarpati continuava con costanza la sua attività artistica, riuscendo anche ad esporre a due mostre personali a Monza, all'Arengario nel settembre del 1944 e nei locali della ‘Pro Cultura’ al Carrobiolo tra il luglio e l'agosto del 1945, riscuotendo un vivo successo in entrambe le occasioni. Terminata la guerra, Giussano appare a Scarpati come il luogo ideale per stabilirvi la residenza; il trasferimento definitivo avverrà nel 1946, dopo la nascita della figlia Margherita. 

Presa la decisione di dedicarsi completamente alla produzione artistica, pur consapevole delle difficoltà che avrebbe incontrato, soprattutto in quegli anni di generale disagio economico, nel 1947 Scarpati espone per la prima volta una sua personale a Milano, alla Galleria Ranzini, e nello stesso anno espone e raccoglie consensi anche a Napoli, la città della sua giovinezza e della sua formazione artistica. Liberatosi di quel tocco accademico, quasi ancora scolastico, che alcuni critici avevano sottolineato nell'esame della sua prima produzione, Scarpati ha ormai individuato la propria strada e si fa sempre più sicuro dei propri mezzi, fondendo piacevolmente, come scrisse Fulvio Provasi nel 1949 «l'irruenza coloristica dei migliori artisti partenopei, con la poesia un poco triste, ma di indubbia importanza, della scuola lombarda.»

Intanto, la Brianza, che si rivelerà per Scarpati feconda di committenze private e pubbliche, gli è entrata nel sangue e nel cuore; di questa terra ha imparato ad amare la dolcezza del paesaggio e l'operosità della gente.

 Scarpati illustratore

 Nel 1950 Scarpati concepisce l'arduo progetto di illustrare la Divina Commedia, proponendosi di completare l'opera entro otto anni. Si applica allo studio del poema dantesco, utilizzando un'edizione scolastica del 1949, ancora conservata dai famigliari con le postille del pittore. Il frutto del lavoro decennale sul testo dantesco furono ben 104 tavole (formato cm. 70x50) dipinte a tecnica mista (tempere e matite colorate), che furono esposte per la prima volta a Milano nel giugno 1960 alla Galleria S. Fedele. Negli anni successivi, il ciclo dantesco di Giorgio Scarpati fu esposto in numerose città italiane e presso gli Istituti italiani di Londra, Madrid, Bruxelles, L'Aja, Amburgo, Colonia e Monaco di Baviera. Carlo Bo, nell'introduzione al volume che l'editore Marzorati pubblicò nel 1973 con tutte le tavole della Divina Commedia di Scarpati, rilevava che la lettura artistica di Scarpati non si sovrapponeva, né tanto meno travolgeva, il testo dantesco, ma gli si poneva accanto, fornendo al lettore  «come una nuova lettura, come un secondo invito».

Lo Scarpati illustratore non si esaurisce, però, con la sua interpretazione del poema dantesco; avidissimo lettore dei classici, l'artista amava confrontarsi con i loro testi e illustrarne le figure e gli episodi salienti. Negli anni Sessanta dipinse più di cento tavole ad illustrazione della Bibbia, che furono poi disperse tra vari collezionisti privati; illustrò i Vangeli con numerose tavole in bianco e nero e  l'Apocalisse di San Giovanni in circa cinquanta tele di grande formato. Tra la fine del decennio e i primi anni Settanta, Scarpati lavora ad un ciclo di sessanta tele ispirate alla vita di S. Francesco, santo che gli era carissimo.

L'attività di illustratore prosegue incessante fino alla metà degli anni Settanta, con il  ciclo  dedicato ai Trionfi del Petrarca (1969-1973), con le tavole ispirate ai Promessi sposi e con un grande ciclo, commissionatogli da un privato, sulla storia del teatro, da quello greco fino alle espressioni contemporanee.

Parte dei lavori ispirati al romanzo manzoniano conobbero anche una fortuna editoriale, prima con un volume con dodici temi manzoniani, pubblicato da Marzorati nel 1972 in tiratura di 300 esemplari numerati, poi, nel 1986, con una bella iniziativa del Comune di Giussano, che, a conclusione delle manifestazioni per il  bicentenario della nascita dello scrittore, pubblicò un'edizione della Storia della colonna infame illustrata da quindici disegni di Giorgio Scarpati. Un'antologia delle opere di ispirazione francescana fu invece pubblicata nel 1974 da Marzorati, con una prefazione di Nazareno Fabretti.

 Un “coraggioso anacronismo”

 Abbiamo iniziato la riflessione sullo Scarpati illustratore a partire dagli anni Cinquanta, che lo videro impegnato senza sosta sull'opera dantesca, ma durante i quali, e questo dà l'idea dei suoi ritmi di lavoro, portò a termine anche un vastissimo numero di opere di varia ispirazione. E' in questo decennio, però, che si afferma in modo sempre più netto l'ispirazione religiosa, sostenuta da una fede salda e convinta, a sua volta alimentata da letture e da meditazioni mai superficiali. La sua arte comincia ad ottenere i primi consensi ufficiali, come il premio ottenuto per una sua Ascensione ad una mostra d'arte indetta dalla FUCI di Roma e la medaglia d'oro che gli fu conferita dall'Associazione di Cultura Letteraria e Scientifica di Genova. Nei primi anni Cinquanta, sue opere avevano già raggiunto S. Paolo del Brasile e il Perù, portando il suo nome ben al di fuori dell'ambito nazionale.

Nel 1954 dipinge il primo di numerosi quadri  ispirati al tema “Gesù divino lavoratore”. Lo spunto gli fu dato dalla partecipazione ad un concorso sullo stesso tema indetto dalla Pro Civitate Christiana di Assisi, che lo vide tra i premiati. Negli anni successivi, numerose tele ispirate a questo argomento gli saranno commissionate da diversi industriali della Brianza e non (Gesù fra gli operai per l'industria Molteni di Giussano, Gesù fra i falegnami per il Mobilificio Fumagalli di Mariano Comense, Gesù fra i tintori per l'industria T.P.B. di Giussano, Gesù fra i barcaioli per la Società Canottieri di Napoli, e tanti altri che qui è impossibile enumerare).

Nel 1959  Scarpati dipinge una grande pala dedicata a San Pio X (m 4,20 x 2,10) per la Basilica di Santa Maria degli Angeli ad Assisi; le dimensioni inusuali dell'opera costringono l'artista a lavorare in un locale della vecchia scuola di Paina, che aveva soffitti molto alti. Nel mese di agosto dello stesso anno furono trasmesse due interviste radiofoniche con il pittore, che diedero risonanza nazionale alla sua figura e alla sua arte.

Negli anni Sessanta si intensifica la produzione di opere sacre, come le Vie Crucis che dipinge nel 1963 per la chiesa parrocchiale di Cesano Maderno e per la cappella dell'ospedale di Seregno. Il tema della Via Crucis, in questi anni e nel decennio successivo, gli sarà particolarmente caro e con esso arricchirà numerose chiese della Brianza e di altre regioni italiane.

Si afferma, intanto, il suo interesse verso il mosaico, con la realizzazione di opere che andranno ad abbellire numerose chiese, a partire, nel 1968, dalla chiesa di S. Rocco a Brunello (VA), alla chiesa parrocchiale di Giussano con le storie della vita di Gesù, ai mosaici nell'abside della chiesa di S. Fermo ad Albiate, con scene relative alla vita e al culto del santo titolare, e quelli della parrocchiale di Castello Brianza.

Lo Scarpati ‘sacro’ trovò modo di esprimersi anche nelle vetrate, dando il meglio di sé non tanto nei piccoli formati quanto nelle composizioni di grandi dimensioni e di grande respiro narrativo, su tutte quelle della chiesa del Monastero delle Benedettine di Grandate (CO).

Il problema di uno stile figurativo da applicare per i temi sacri dovette essere particolarmente sentito da Scarpati, che era ben conscio di vivere in un secolo in cui il figurativo era stato pressoché abbandonato dalle correnti artistiche più moderne, ma sapeva anche altrettanto bene che il linguaggio di un'opera sacra, che pur volesse tentare qualche via di rinnovamento, doveva comunque essere chiaro a coloro che, nella chiesa di città come nella cappella di campagna, guardavano e ammiravano quell'opera. Come nel Medioevo, l'opera sacra, soprattutto se esposta in un tempio, doveva essere biblia pauperum, a tutti comprensibile e priva di ambiguità. In questo senso Mazareno Fabretti parlò di “coraggioso anacronismo” per la pittura sacra di Scarpati.

Sarebbe impossibile elencare tutte le opere a soggetto sacro di Giorgio Scarpati; basti  ricordare, oltre alle opere già citate, che moltissimi lavori di Scarpati illustrano chiese grandi e piccole, cappelle cimiteriali e case private, segno di una fecondità e di una ispirazione instancabili, ma anche di una profonda adesione spirituale ai temi trattati, come se tra vita, arte e fede non vi fosse la benché minima scissione, come se dalla Parola alla quale si sforzava di dare un'immagine, venisse (ed egli ne era certo) tutta la Bellezza e tutta la Verità.

 Tra gli anni Settanta e Ottanta, Giorgio Scarpati si dà a rappresentare sempre più frequentemente la figura femminile, soprattutto ragazze e giovani donne, raffigurate con colori caldi e morbidi,  contenute nelle tipiche linee allungate che caratterizzano le sue figure umane; si tratta a volte di nudi, innocenti e casti, sempre misurati classicamente nella composizione e nelle scelte cromatiche.

Gli anni Ottanta vedono Scarpati rarefare i propri impegni, senza che per questo egli perda la passione per l'arte e per lo studio. Nel 1981 viene collocato presso la scuola media del Centro Civico di Giussano un suo mosaico di grandi dimensioni (m. 6,34 x 2), ispirato ai Trionfi di Francesco Petrarca, in particolare, questo è il titolo dell'opera, al Trionfo del tempo. Si tratta di una ripresa della dotta e difficile opera petrarchesca che Scarpati aveva già trattato in passato, utilizzando qui, nel mosaico di Giussano, l'immagine dei cavalli che trascinano il carro del sole, che rifulge nei colori dorati dell'alba.

E' una delle sue ultime grandi opere; l'ultimo in assoluto dei lavori compiuti è invece un Giudizio universale dipinto nel 1985. Entrambe le opere sembrano venire dalla riflessione di un uomo consapevole del passare degli anni (andava avvicinandosi all'ottantesimo compleanno) e pronto, nella sua fede cristallina, a presentarsi al giudizio divino per il definitivo redde rationem.

 «La vita di artista è stata dura e bellissima»

 In questi anni, più libero dai vincoli della committenza, l'artista ritorna a trattare i temi evangelici, ma con più libertà, pur sempre nel rispetto dei testi e dei soggetti; sono quadri in cui si avverte la serenità e la leggerezza della piena maturità, ed anche i colori e le linee, nella loro essenzialità, sembrano venire da un cuore ormai libero dalle ansie della vita.

Scarpati amava molto la musica, la grande musica della tradizione classica, e l'ascoltava spesso mentre lavorava. Così come l'avevano suggestionato e ispirato le grandi opere della letteratura e del teatro, anche la musica lasciava in lui profonde emozioni e suscitava nella sua mente sempre attiva echi ai quali avrebbe voluto dare un'immagine pittorica.

La malattia lo colse proprio mentre stava lavorando ad un ciclo ispirato a Wagner, ma l'opera doveva restare incompiuta, perché l'artista moriva, a settantanove anni,  il 2 novembre del 1987, in quella Giussano che l'aveva accolto profugo più di quarant'anni prima e nella quale lasciava tanti amici e molte tracce del suo percorso artistico.

Scarpati abbandonava questo mondo portando con sé due profonde certezze, che pochi mesi prima di morire aveva espresso in una lettera all'amico Edilio Marelli. «La vita di artista è stata dura e bellissima», affermava Scarpati, racchiudendo in queste poche parole sessant'anni di attività artistica che gli era costata rinunce e sacrifici, spendendosi in essa totalmente e senza cedere alle lusinghe del mercato, ma che gli aveva dato anche la soddisfazione di poter creare in libertà e di poter comunicare con gli altri attraverso l'arte.

La seconda certezza era manifestata da  Scarpati con una frase che era un po' il consuntivo non più solo dell'artista, ma soprattutto dell'uomo e del credente, l'uomo che poteva gioire del calore e delle soddisfazioni dategli dai suoi famigliari, il credente che si avvicinava a chiudere una vita, possiamo dire francescana, vissuta nella confidenza con Dio, e che ora poteva dire: «Posso chiudere la parentesi della mia vita di grandi soddisfazioni proprio come il vecchio Simeone, quando gli presentarono Gesù Bambino: Ti ringrazio, Signore, ora posso anche morire».

Con la serenità di Simeone, Scarpati era ora approdato, finalmente, a quella Bellezza che aveva sempre cercato, rappresentato e comunicato agli altri con le sue opere. In un mondo dove la stupidità e la volgarità sembrano obnubilare le coscienze, Giorgio Scarpati ci ha aperto con la sua arte uno spiraglio sulla Luce e sulla Bellezza; di questo gli dobbiamo essere grati.

Domenico Flavio Ronzoni

 

 

 

 

CIRCOLO CULTURALE "DON RINALDO BERETTA" - ROBBIANO DI GIUSSANO (MI)