GIORGIO SCARPATI. UNA VITA DI
FEDE E DI ARTE
Da Napoli alla Brianza
Quella di Giorgio
Scarpati fu poi una vita che per la maggior parte degli anni
trascorse serenamente nella ‘sua’ Giussano, tra i famigliari e
gli amici, priva di particolari vicissitudini, lontana anche,
almeno apparentemente, dai grandi movimenti artistici, e dai
loro protagonismi, che hanno animato questo secolo.
Nato a San Giorgio a Cremano,
presso Napoli, il 19 gennaio 1908, da Nicola Scarpati ed
Elisabetta D'Acunzio, che vi gestivano un'attività commerciale.
Giorgio ebbe per l'arte una vera
e propria vocazione, che maturò prepotentemente fin dagli anni
giovanili e che lo portò a frequentare l'Accademia di Napoli,
studiando sotto la guida di Vincenzo Migliaro e di altri
insegnanti, quali Volpe, Licata e Vetri.
La sua terra natale fu sempre
presente a Giorgio Scarpati, ma furono
proprio le difficoltà della vita napoletana a spingere la
famiglia a lasciare la città per trasferirsi a
Milano, nel 1929, dove trovò
alloggio al 31 di via Marcantonio Dal Re, alla periferia
nord-occidentale del capoluogo lombardo.
La Milano degli anni Trenta, che
accoglie il giovane pittore con le sue nebbie, è una città con
una vita artistica molto intensa e vivace. Sono gli ‘anni del
consenso’ al fascismo, impegnato nel tentativo, che si rivelerà
in gran parte vano, di dare vita ad una cultura fascista che si
esprimesse anche nell'arte, nell'architettura come nella
pittura; sono gli anni in cui si assiste alla trasformazione
urbanistica del centro storico, sventrato per fare posto a sedi
direzionali di società commerciali, finanziarie ed
assicuratrici; ma sono anche anni di fermento artistico, in cui
si vanno maturando personalità come quelle di Lucio Fontana,
Ennio Morlotti, Renato Birolli, Aligi Sassu, l'allora
giovanissimo Ernesto Treccani, il già affermato Mario Sironi,
che daranno vita negli anni successivi ad alcune delle
espressioni più originali e moderne della pittura italiana del
Novecento.
Giorgio Scarpati appare lontano
da questo crogiuolo artistico, quasi isolato, ma con tutta
consapevolezza, in una ricerca personale che aveva i propri
pilastri nella fede, nella riflessione e nello studio.
Gli esordi artistici
Della produzione pittorica degli
anni Trenta sappiamo solo che dipingeva molto e utilizzando
tecniche diverse, dall'olio all'acquarello, con ampiezza di
ispirazione e di soggetti. Nature morte, marine, paesaggi sono
temi ricorrenti nella produzione dei decenni Trenta e Quaranta,
per poi essere quasi abbandonati, messi in un canto dalla
ricerca sempre più coinvolgente sulla figura umana. E non era
certo una scelta, questa, dettata da ragioni di mercato; anzi,
furono proprio quegli acquarelli e quegli oli che ritraevano
delicati paesaggi a dargli le prime, modeste soddisfazioni
economiche, il piacere di vedere qualche sua opera venduta alle
prime mostre milanesi alle quali aveva modo di partecipare.
Lavorando in una bottega
artigiana specializzata in pirografie e lavori a sbalzo su rame,
Giorgio vi conobbe Maria Spinazzi, che sposò il 29 dicembre 1937
e con la quale andò a vivere in un appartamento al numero 1 di
via Gentile (ora via Alberico Gentili), sempre a Milano.
Nel 1939 nasceva il figlio
Claudio e le necessità della famiglia inducevano Scarpati ad
accettare un più sicuro impiego in un ufficio periferico della
STIPEL (poi SIP), posto che mantenne fino alla fine della
seconda guerra mondiale.
I primi bombardamenti alleati su
Milano, via via sempre più frequenti e pericolosi, tra il '42 e
il '43, costringono la piccola famiglia dell'artista a sfollare
più volte da Milano per cercare sicurezza in Brianza. Il primo
rifugio giussanese degli Scarpati fu a Birone, dove vennero
ospitati saltuariamente, ma per periodi via via sempre più
lunghi, dalla famiglia Tonelli.
Nonostante i travagli e i disagi
di quegli anni, Scarpati continuava con costanza la sua attività
artistica, riuscendo anche ad esporre a due mostre personali a
Monza, all'Arengario nel settembre del 1944 e nei locali della
‘Pro Cultura’ al Carrobiolo tra il luglio e l'agosto del 1945,
riscuotendo un vivo successo in entrambe le occasioni. Terminata
la guerra, Giussano appare a Scarpati come il luogo ideale per
stabilirvi la residenza; il trasferimento definitivo avverrà nel
1946, dopo la nascita della figlia Margherita.
Presa la decisione di dedicarsi
completamente alla produzione artistica, pur consapevole delle
difficoltà
che avrebbe incontrato, soprattutto in quegli anni di generale
disagio economico, nel 1947 Scarpati espone per la prima volta
una sua personale a Milano, alla Galleria Ranzini, e nello
stesso anno espone e raccoglie consensi anche a Napoli, la città
della sua giovinezza e della sua formazione artistica.
Liberatosi di quel tocco accademico, quasi ancora scolastico,
che alcuni critici avevano sottolineato nell'esame della sua
prima produzione, Scarpati ha ormai individuato la propria
strada e si fa sempre più sicuro dei propri mezzi, fondendo
piacevolmente, come scrisse Fulvio Provasi nel 1949 «l'irruenza
coloristica dei migliori artisti partenopei, con la poesia un
poco triste, ma di indubbia importanza, della scuola lombarda.»
Intanto, la Brianza, che si
rivelerà per Scarpati feconda di committenze private e
pubbliche, gli è entrata nel sangue e nel cuore; di questa terra
ha imparato ad amare la dolcezza del paesaggio e l'operosità
della gente.
Scarpati illustratore
Nel 1950 Scarpati concepisce
l'arduo progetto di illustrare la Divina Commedia,
proponendosi di completare l'opera entro otto anni. Si applica
allo studio del poema dantesco, utilizzando un'edizione
scolastica del 1949, ancora conservata dai famigliari con le
postille del pittore. Il frutto del lavoro decennale sul testo
dantesco furono ben 104 tavole (formato cm. 70x50) dipinte a
tecnica mista (tempere e matite colorate), che furono esposte
per la prima volta a Milano nel giugno 1960 alla Galleria S.
Fedele. Negli anni successivi, il ciclo dantesco di Giorgio
Scarpati fu esposto in numerose città italiane e presso gli
Istituti italiani di Londra, Madrid, Bruxelles, L'Aja, Amburgo,
Colonia e Monaco di Baviera. Carlo Bo, nell'introduzione al
volume che l'editore Marzorati pubblicò nel 1973 con tutte le
tavole della Divina Commedia di Scarpati, rilevava che la
lettura artistica di Scarpati non si sovrapponeva, né tanto meno
travolgeva, il testo dantesco, ma gli si poneva accanto,
fornendo al lettore «come una nuova lettura, come un secondo
invito».
Lo Scarpati illustratore non si
esaurisce, però, con la sua interpretazione del poema dantesco;
avidissimo lettore dei classici, l'artista amava confrontarsi
con i loro testi e illustrarne le figure e gli episodi salienti.
Negli anni Sessanta dipinse più di cento tavole ad illustrazione
della Bibbia, che furono poi disperse tra vari
collezionisti privati; illustrò i Vangeli con numerose
tavole in bianco e nero e l'Apocalisse di San Giovanni
in circa cinquanta tele di grande formato. Tra la fine del
decennio e i primi anni Settanta, Scarpati lavora ad un ciclo di
sessanta tele ispirate alla vita di S. Francesco, santo che gli
era carissimo.
L'attività di illustratore
prosegue incessante fino alla metà degli anni Settanta, con il
ciclo dedicato ai Trionfi del Petrarca (1969-1973), con
le tavole ispirate ai Promessi sposi e con un grande
ciclo, commissionatogli da un privato, sulla storia del teatro,
da quello greco fino alle espressioni contemporanee.
Parte dei lavori ispirati al
romanzo manzoniano conobbero anche una fortuna editoriale, prima
con un volume con dodici temi manzoniani, pubblicato da
Marzorati nel 1972 in tiratura di 300 esemplari numerati, poi,
nel 1986, con una bella iniziativa del Comune di Giussano, che,
a conclusione delle manifestazioni per il bicentenario della
nascita dello scrittore, pubblicò un'edizione della Storia
della colonna infame illustrata da quindici disegni di
Giorgio Scarpati. Un'antologia delle opere di ispirazione
francescana fu invece pubblicata nel 1974 da Marzorati, con una
prefazione di Nazareno Fabretti.
Un “coraggioso anacronismo”
Abbiamo iniziato la
riflessione sullo Scarpati illustratore a partire dagli anni
Cinquanta, che lo videro impegnato senza sosta sull'opera
dantesca, ma durante i quali, e questo dà l'idea dei suoi ritmi
di lavoro, portò a termine anche un vastissimo numero di opere
di varia ispirazione. E' in questo decennio, però, che si
afferma in modo sempre più netto l'ispirazione religiosa,
sostenuta da una fede salda e convinta, a sua volta alimentata
da letture e da meditazioni mai superficiali. La sua arte
comincia ad ottenere i primi consensi ufficiali, come il premio
ottenuto per una sua Ascensione ad una mostra d'arte
indetta dalla FUCI di Roma e la medaglia d'oro che gli fu
conferita dall'Associazione di Cultura Letteraria e Scientifica
di Genova. Nei primi anni Cinquanta, sue opere avevano già
raggiunto S. Paolo del Brasile e il Perù, portando il suo nome
ben al di fuori dell'ambito nazionale.
Nel 1954 dipinge il primo di
numerosi quadri ispirati al tema “Gesù divino lavoratore”. Lo
spunto gli fu dato dalla partecipazione ad un concorso sullo
stesso tema indetto dalla Pro Civitate Christiana di Assisi, che
lo vide tra i premiati. Negli anni successivi, numerose tele
ispirate a questo argomento gli saranno commissionate da diversi
industriali della Brianza e non (Gesù fra gli operai per
l'industria Molteni di Giussano, Gesù fra i falegnami per
il Mobilificio Fumagalli di Mariano Comense, Gesù fra i
tintori per l'industria T.P.B. di Giussano, Gesù fra i
barcaioli per la Società Canottieri di Napoli, e tanti altri
che qui è impossibile enumerare).
Nel 1959 Scarpati dipinge una
grande pala dedicata a San Pio X (m 4,20 x 2,10) per la Basilica
di Santa Maria degli Angeli ad Assisi; le dimensioni inusuali
dell'opera costringono l'artista a lavorare in un locale della
vecchia scuola di Paina, che aveva soffitti molto alti. Nel mese
di agosto dello stesso anno furono trasmesse due interviste
radiofoniche con il pittore, che diedero risonanza nazionale
alla sua figura e alla sua arte.
Negli anni Sessanta si
intensifica la produzione di opere sacre, come le Vie Crucis
che dipinge nel 1963 per la chiesa parrocchiale di Cesano
Maderno e per la cappella dell'ospedale di Seregno. Il tema
della Via Crucis, in questi anni e nel decennio
successivo, gli sarà particolarmente caro e con esso arricchirà
numerose chiese della Brianza e di altre regioni italiane.
Si afferma, intanto, il suo
interesse verso il mosaico, con la realizzazione di opere che
andranno ad abbellire numerose chiese, a partire, nel 1968,
dalla chiesa di S. Rocco a Brunello (VA), alla chiesa
parrocchiale di Giussano con le storie della vita di Gesù, ai
mosaici nell'abside della chiesa di S. Fermo ad Albiate, con
scene relative alla vita e al culto del santo titolare, e quelli
della parrocchiale di Castello Brianza.
Lo Scarpati ‘sacro’ trovò modo di
esprimersi anche nelle vetrate, dando il meglio di sé non tanto
nei piccoli formati quanto nelle composizioni di grandi
dimensioni e di grande respiro narrativo, su tutte quelle della
chiesa del Monastero delle Benedettine di Grandate (CO).
Il problema di uno stile
figurativo da applicare per i temi sacri dovette essere
particolarmente sentito da Scarpati, che era ben conscio di
vivere in un secolo in cui il figurativo era stato pressoché
abbandonato dalle correnti artistiche più moderne, ma sapeva
anche altrettanto bene che il linguaggio di un'opera sacra, che
pur volesse tentare qualche via di rinnovamento, doveva comunque
essere chiaro a coloro che, nella chiesa di città come nella
cappella di campagna, guardavano e ammiravano quell'opera. Come
nel Medioevo, l'opera sacra, soprattutto se esposta in un
tempio, doveva essere biblia pauperum, a tutti
comprensibile e priva di ambiguità. In questo senso Mazareno
Fabretti parlò di “coraggioso anacronismo” per la pittura sacra
di Scarpati.
Sarebbe impossibile elencare
tutte le opere a soggetto sacro di Giorgio Scarpati; basti
ricordare, oltre alle opere già citate, che moltissimi lavori di
Scarpati illustrano chiese grandi e piccole, cappelle
cimiteriali e case private, segno di una fecondità e di una
ispirazione instancabili, ma anche di una profonda adesione
spirituale ai temi trattati, come se tra vita, arte e fede non
vi fosse la benché minima scissione, come se dalla Parola alla
quale si sforzava di dare un'immagine, venisse (ed egli ne era
certo) tutta la Bellezza e tutta la Verità.
Tra gli anni Settanta e Ottanta,
Giorgio Scarpati si dà a rappresentare sempre più frequentemente
la figura femminile, soprattutto ragazze e giovani donne,
raffigurate con colori caldi e morbidi, contenute nelle tipiche
linee allungate che caratterizzano le sue figure umane; si
tratta a volte di nudi, innocenti e casti, sempre misurati
classicamente nella composizione e nelle scelte cromatiche.
Gli anni Ottanta vedono Scarpati
rarefare i propri impegni, senza che per questo egli perda la
passione per l'arte e per lo studio. Nel 1981 viene collocato
presso la scuola media del Centro Civico di Giussano un suo
mosaico di grandi dimensioni (m. 6,34 x 2), ispirato ai
Trionfi di Francesco Petrarca, in particolare, questo è il
titolo dell'opera, al Trionfo del tempo. Si tratta di una
ripresa della dotta e difficile opera petrarchesca che Scarpati
aveva già trattato in passato, utilizzando qui, nel mosaico di
Giussano, l'immagine dei cavalli che trascinano il carro del
sole, che rifulge nei colori dorati dell'alba.
E' una delle sue ultime grandi
opere; l'ultimo in assoluto dei lavori compiuti è invece un
Giudizio universale dipinto nel 1985. Entrambe le opere
sembrano venire dalla riflessione di un uomo consapevole del
passare degli anni (andava avvicinandosi all'ottantesimo
compleanno) e pronto, nella sua fede cristallina, a presentarsi
al giudizio divino per il definitivo redde rationem.
«La vita di artista è stata
dura e bellissima»
In questi anni, più
libero dai vincoli della committenza, l'artista ritorna a
trattare i temi evangelici, ma con più libertà, pur sempre nel
rispetto dei testi e dei soggetti; sono quadri in cui si avverte
la serenità e la leggerezza della piena maturità, ed anche i
colori e le linee, nella loro essenzialità, sembrano venire da
un cuore ormai libero dalle ansie della vita.
Scarpati amava molto la musica,
la grande musica della tradizione classica, e l'ascoltava spesso
mentre lavorava. Così come l'avevano suggestionato e ispirato le
grandi opere della letteratura e del teatro, anche la musica
lasciava in lui profonde emozioni e suscitava nella sua mente
sempre attiva echi ai quali avrebbe voluto dare un'immagine
pittorica.
La malattia lo colse proprio
mentre stava lavorando ad un ciclo ispirato a Wagner, ma l'opera
doveva restare incompiuta, perché l'artista moriva, a
settantanove anni, il 2 novembre del 1987, in quella Giussano
che l'aveva accolto profugo più di quarant'anni prima e nella
quale lasciava tanti amici e molte tracce del suo percorso
artistico.
Scarpati abbandonava questo mondo
portando con sé due profonde certezze, che pochi mesi prima di
morire aveva espresso in una lettera all'amico Edilio Marelli.
«La vita di artista è stata dura e bellissima», affermava
Scarpati, racchiudendo in queste poche parole sessant'anni di
attività artistica che gli era costata rinunce e sacrifici,
spendendosi in essa totalmente e senza cedere alle lusinghe del
mercato, ma che gli aveva dato anche la soddisfazione di poter
creare in libertà e di poter comunicare con gli altri attraverso
l'arte.
La seconda certezza era
manifestata da Scarpati con una frase che era un po' il
consuntivo non più solo dell'artista, ma soprattutto dell'uomo e
del credente, l'uomo che poteva gioire del calore e delle
soddisfazioni dategli dai suoi famigliari, il credente che si
avvicinava a chiudere una vita, possiamo dire francescana,
vissuta nella confidenza con Dio, e che ora poteva dire: «Posso
chiudere la parentesi della mia vita di grandi soddisfazioni
proprio come il vecchio Simeone, quando gli presentarono Gesù
Bambino: Ti ringrazio, Signore, ora posso anche morire».
Con la serenità di Simeone,
Scarpati era ora approdato, finalmente, a quella Bellezza che
aveva sempre cercato, rappresentato e comunicato agli altri con
le sue opere. In un mondo dove la stupidità e la volgarità
sembrano obnubilare le coscienze, Giorgio Scarpati ci ha aperto
con la sua arte uno spiraglio sulla Luce e sulla Bellezza; di
questo gli dobbiamo essere grati.
Domenico Flavio Ronzoni |