ILLUSTRAZIONI MANZONIANE DI GIORGIO SCARPATI
Il Circolo
culturale “Rinaldo Beretta” di Robbiano, in collaborazione con
il Comune di Giussano, il Patrocinio della Regione Lombarda e
della Provincia di Milano a venti anni dalla morte di Giorgio
Scarpati (1908 – 1987), propone al pubblico con la prestigiosa e
fattiva partecipazione della Casa del Manzoni e di collezionisti
privati, una raccolta di studi grafici, realizzati dal pittore
intorno al 1970 e negli anni successivi, per illustrare i
Promessi Sposi di Alessandro Manzoni.
Artista di
straordinaria levatura umana e profondo studioso di testi
biblici, religiosi e classici, Scarpati intraprese a tradurre le
pagine manzoniane avendo già rivelato acuta sensibilità estetica
nel commento figurale della Bibbia, soprattutto dei Vangeli e
dell’Apocalisse, della Vita di S. Francesco, della Divina
Commedia e dei Trionfi del Petrarca.
Il “corpo”
dedicato all’opera manzoniana evidenzia le attitudini
interpretative di Scarpati, ora affidate a compendiarii e
improvvisi schizzi, quando intende abbozzare la psicologia dei
personaggi e i risvolti emergenti degli episodi, ora rese
palpitanti con ampie e dosate campiture cromatiche, solo
scandite da sottili cesure, quando esplicita nella sua interezza
la particolare situazione del romanzo. I due risultati formali,
frutto prima di immediate suggestioni e precise
puntualizzazioni, poi di meditati approfondimenti e contestuali
raffronti del tessuto narrativo, sono momenti diversi di un
unico spirito creativo, abile con rara efficacia a svolgere i
vivaci appunti di lettura in composizioni, classiche per
fluidità di disegno e purezza figurativa.
Delle
definitive trasposizioni esposte nella Mostra di Robbiano, gli
organizzatori si sono premurati
di offrirne, in una cartella, alcune riproduzioni che non
contemplano, tuttavia, le dodici già pubblicate nel 1973, con
una illuminante presentazione di Mario Monteverdi, dall’Editore
Marzorati.
Nella prima,
Renzo va dal Dott. Azzeccagarbugli, l’episodio è
risolto in maniera pacata. Renzo, convinto della propria scelta
e ignaro degli inattesi e alchemici ghiribizzi verbali di
Azzeccagarbugli, si volge un po’ baldanzoso verso Agnese e
Lucia, unite in trepida attesa. I particolari descrittivi degli
alberi, in lontananza, e dei capponi penzolanti dalla mano del
giovane ravvivano la plastica essenzialità
dell’insieme.
Nella
successiva, Fra Cristoforo: “il pane del perdono”,
notiamo che la scena, pur inquadrata con alcuni riferimenti alla
prospettiva geometrica, come la scacchiera del pavimento e le
lesene della parete di fondo, è ideata secondo i canoni della
prospettiva di “maestà”. Imponente, infatti, è la pensosa figura
di Cristoforo che, dopo aver suscitato pietà e rispetto nei
sorpresi astanti con la sua inattesa e umile compunzione di
cuore, stringe tra le mani il pane del perdono appena ricevuto e
che riporrà nella sporta, dovendo
mettersi in viaggio.
Precise
modulazioni scandiscono nei propri risvolti psicologici I
tre fuggiaschi, questo il titolo dato dall’artista. A
sinistra, le fluide cadenze del saio del padre guardiano, visto
di spalle, a braccia aperte e supplice davanti a Gertrude.
Dall’altra parte, disposte a quinta, Agnese in attonito ascolto
e Lucia, trepida e protetta dal grande corpo della madre. Oltre
la grata, la giovane monaca, capace di celare nei lineamenti del
viso doppiezza di parole e di comportamenti, stringe
l’inferriata che la sollecita non alla santità, ma a
scelleratezze.
In,
Renzo all’osteria, la sottile ironia che traspare
nel racconto manzoniano rivive nel momento in cui Renzo,
euforico e ciarliero per quanto accaduto in giornata e per
qualche bicchiere, tira «fuori il terzo ed ultimo di què pani
raccolti sotto la croce di San Dionigi» e sta gridando «ecco il
pane della provvidenza». Scarpati tende a mettere in risalto il
gesto declamatorio di Renzo che con la propria figura costruisce
la piramide visiva e domina lo spazio, scandito in alto dalle
posizioni simmetriche dei quattro avventori, dalle prospettiche
“nature morte” del tavolo e del pavimento e, in primo piano, dai
plastici lineamenti e quasi speculari movenze del personaggio,
seduto, che ha introdotto Renzo nell’osteria
“della luna piena” e lo ascolta con simulata attenzione.
La conversione dell’Innominato è disegnata con
efficace concisione. L’attenzione dell’artista si sofferma sui
volti dei protagonisti, delineati volutamente a mezzo busto. Il
cardinale Federico, con le mani protese, si rivolge
all’Innominato, sopraffatto dal turbinio dei pensieri. Evidenti
le differenze negli impasti cromatici e nella raffigurazione dei
personaggi: le rosse macchie della mozzetta
e dello zucchetto del porporato, rappresentato di profilo con
pochi tratteggi; d’altro canto, le insistite campiture di colori
scuri e, in particolare, le ciocche di capelli che calano sulla
fronte del castellano.
Profonda
angoscia caratterizza, Arrivano i Lanzichenecchi.
Fattezze e gesti dell’anonima folla sono deformati e scomposti
per la fatica e per l’incombente
minaccia dei feroci mercenari che portano scompiglio e terrore.
Suggestioni
emotive provoca La peste. Dal carro, che con una
ascendente diagonale divide scenicamente la narrazione, pendono
corpi umani, diafani e consunti. Forti le tinte drammatiche dei
particolari: la mamma che si volge a guardare, inorridita, il
lugubre convoglio e fugge con il bimbo stretto al seno; i
monatti che incitano il cavallo e allontanano la gente, lanciata
in una fuga precipitosa.
Nell’ultimo
disegno presente nella cartella, Le nozze,
Scarpati si attarda a dare rigore e armonia ad ogni particolare:
la disposizione prospettica e chiastica dei personaggi, soffusi
di gioia contenuta e meditata partecipazione; lo spazio
ellittico, quasi a forma di cuore creato dai volti, dalle
braccia e dalle mani unite di Renzo e Lucia che finalmente
coronano il tormentato segno d’amore; le cromie, sia dosate con
brevi tocchi, sia dosate in maniera tenue che scandite con brevi
tocchi per vivacizzare i particolari.
Considerando,
ora, tutti i disegni esposti nella Mostra, si evince come il
processo compositivo muove dallo schizzo, che concretizza le
immediate intuizioni, e poi si definisce in formulazioni
puntuali e meditate che, per lo più, mostrano due procedimenti
stilistici. Negli episodi in cui appare la folla, l’artista
infittisce il tratto in un groviglio lineare, dai ritmi serrati
e vibranti, e tende a dissolvere le fattezze umane ispirandosi,
forse, ai disegni realizzati da Gaetano Previati per la edizione
dei Promessi Sposi, pubblicata da Hoepli nel 1900. Nelle scene
dove protagonisti sono i personaggi determina, invece, le figure
e le panneggiature con linee morbide e con rigorosa plasticità,
evitando angolature forzate e inutili riferimenti anedottici, e
usa colori caldi, graduati in tonali sfumature, e sgranati dalla
scabrosità della carta e dalla particolare tecnica a cera.
La sua
poetica è ben lungi da quella di altri pittori che hanno
illustrato il romanzo manzoniano dal 1943 e nei decenni
successivi: Aligi Sassu con una grafia ora descrittiva ora
compendiaria o ritmata con linee rosse, caratteristiche e
avvolgenti; Renato Guttuso con tratti forti, drammatici, e
spesso espressionistici; Giorgio De Chirico in modo descrittivo
e fantasioso, baroccheggiante e moderno.
Scarpati,
invece, ha fatto trasparire l’attesa di quella catarsi finale,
sempre presente nel romanzo, per cui i personaggi pur
attanagliati da forte tensione interiore, da contenuta
drammaticità, da codarda paura come don Abbondio, quasi sempre
raffigurato di spalle, riescono a dominare i segreti tumulti del
cuore e, spesso, sono pervasi da una soffusa serenità.
Suadenti sono
i fini lineamenti e la calcolata freddezza del viso giovanile di
Gertrude, inanellato nell’elegante vestito monacale tanto
odiato.
Commovente la
esemplare compostezza e il languore mortale della statuaria
madre che porta sulle braccia il corpo esangue della sua
Cecilia.
Speranza di
vita sgorga dal tenero abbraccio e dal seno delle due madri che
allattano e, impietrite, contemplano i corpicini dei figli
morti, stesi a terra.
In queste,
come nelle altre interpretazioni, Scarpati ha saputo mostrare il
nucleo del pensiero manzoniano che, cioè, dietro e oltre le
vicende spesso difficili, tristi, tumultuose e torbide del
vivere aleggia, costante e indubitata, la presenza di Dio che
consola, illumina e chiama alle gioie ultraterrene.
Dom Giovanni Brizzi |