Pensieri sull'arte di Salvatore Jemolo
Pensieri - 1960
Se la vita è un dono l'arte è un omaggio alla vita - l'artista l'umile cosa a cui è dato cogliere dalla bellezza significato.
Chi sono io - 1970
Mi considero un isolato, fuori da ogni mischia, che opera con semplicità di un operaio innamorato del proprio mestiere.
Alla realtà mi accosto con devozione e mi ci immergo come in un fiume sacro per purificarmici.
Credo che quando la realtà stimola la nostra sensibilità, l'occhio l'ha già elaborata, essa fa parte del nostro essere, e ha già insita la risposta del nostro temperamento; il problema per me quindi consiste nel tradurla e restituirla in termini chiari e convincenti.
Confesso che la parola arte mi ha sempre dato un senso di sgomento; l'arte io la vedo, o meglio la immagino, come un'enorme ricca pianta dai frutti più disparati; ogni artefice per cogliere il "suo frutto" grande o modesto che sia, deve costruirsi la propria scala, con paziente tenacia e umiltà artigiana.
Il problema dell'arte oggi - 1958
...trovo sempre maggior convincimento a credere che il problema, quale si presenta a noi oggi, non è tanto di trovare (o di pretendere di trovare) un nuovo "linguaggio artistico": sarebbe come dire che un libro originale si può scrivere alla sola condizione di inventare un nuovo abbecedario e un nuovo dizionario. Io credo che bisogna ricercare soprattutto ed essenzialmente in noi la ragione di dipingere, cioè "il movente" e il linguaggio, ovvero il mezzo espressivo, tanto più chiaro e leggibile è, quanto maggiormente risponde allo scopo, fungendo da ponte per raggiungere il mondo sensibile.
Nel mio studio - 1968
...giorno dietro giorno, con monotona cadenza, la chiave gira e chiude la porta del mio studio.
Uno stanzone grande, parato da tende che adombrano le grandi vetrate. Pochi i quadri alle pareti; qua e là disseminati a gruppi, oggetti in disuso attendono di essere dipinti. Questi il mio regno la fucina dove reminiscenze lontane e vicine della mia Sicilia prendono forma e colore.
Ogni giorno varcando la soglia, una timidezza, un disagio mal celato avviluppano tutto il mio essere. Come se, tra me e la tela, ci fosse qualcuno, qualcosa di misterioso e indomabile che mi sovrasti, vagandomi attorno inafferrabile, facendomi sentire incapace, vuoto, impotente.
Difficile spiegarlo...: mi avvicino al cavalletto conscio di sensazioni brucianti. Un quadro iniziato è come una cicatrice non rimarginata.
Nelle ore di tensione, nel silenzio del mio lavoro, lo studio pare si trasformi in una arena, ove la fortuna asseconda ora il toro, ora il torero.
E' una battaglia, il conflitto fra l'immagine che si vorrebbe realizzare e la propria tecnica, mezzo, spesso incapace, di cogliere e concretizzare l'immaginazione.
Qui ho sognato d'adulto come bambino.
Ho sperato, ho disperato, ho atteso con pazienza e costanza un riverbero che m'appagasse, un risultato che intimamente mi riscattasse.
Credo che, se in un'opera saremo riusciti a tradurre con vigore lo stato di grazia di un momento felice della nostra giornata, avremo creato qualcosa di vero, di vivo e duraturo insieme, capace di "scaldare" anche gli altri.
Natura e pittura - 1962
Suggerire agli altri l'amore e la gioia che io provo per le cose della natura è stato ed è il mio intendimento. La varietà delle immagini, il colore, le bellezze naturali sono l'incentivo della mia fantasia. Il teatro della vita offre spunti e argomenti che il pittore dotato di sensibilità ricettiva commenta con la propria opera, illuminando di luce poetica gli aspetti più umani e interessanti della vita stessa. Limitare l'argomento per me sarebbe come impoverire lo spettacolo medesimo; perciò mi interessa tutto: il ritratto, il paesaggio, la natura morta, la composizione. Queste ed altre ragioni che qui esporrò mi tengono legato alla pittura figurativa. I principi dell'arte, sono oggi più che mai da richiamare all'attenzione di quanti a questo genere di cose votano la propria esistenza.
La pittura è atto di raccoglimento, di contemplazione, di ammirazione, di modestia, di gioia, di sofferenza ad un tempo; l'impasto di un colloquio trasfigurato.
Dipingere è come affondare le radici nel tempo, godere dello spazio, della luce, affacciarsi all'infinito. Poiché in arte vero è solo quanto scaturisce dall'opera d'arte, la forma, il colore, altro non devono essere che nobile materia, ispirata finzione della realtà, veicolo del concetto espressivo. Il senso dell'arte (la poesia), in misura diversa, è in noi, anche fra i più semplici.
La pittura, o per meglio dire la materia, pittorica, per divenire arte deve avere i requisiti che suscitano emozioni poetiche. In altre parole: la poesia è nelle creature umane, l'opera dell'artista ha il potere di stimolarla. Compito della pittura e delle arti in genere è stato quello di estendere il dialogo, farsi capire per aiutare a comprendere, approfondire e penetrare il mondo.
L'uomo, per geniale che possa essere, è sempre un essere limitato, oserei dire che il suo maggiore o minore ingegno consista nel riconoscere i propri limiti. Sostituire le forme naturali con cerebralismi (quando non servono a mascherare la propria impotenza) equivale a falsare e impoverire equivocamente il vero nerbo della creazione artistica. La visione del proprio mondo pittorico non si inventa, si scopre, si dissotterra dal proprio io con fatica, con umiltà e pazienza, come l'oro nelle miniere. Credo che fino a quando l'uomo conterà cinque dita per mano, riderà o piangerà contraendo i muscoli del viso, l'artefice che vorrà esprimersi, comunicando attraverso le proprie opere con i suoi simili, dovrà adeguarsi all'unico mezzo espressivo che convoglia tutti i sentimenti umani: LA NATURA, la quale quotidianamente ci ammaestra, esprimendosi compiutamente e maestosamente. La diretta connessione che sussiste fra il sentire e l'esprimere uno stato d'animo, condiziona l'essere a sentire e a percepire nella formula che gli è connaturale. Forse che lo scrittore, il poeta, mediante le parole non ci restituisce sensazioni che il nostro essere costruisce figurativamente? Or dunque, perché proprio la pittura, che fra le arti di certo è la più completa e immediata, dovrebbe privarsi del suo potere rappresentativo per ridursi ad una sterile esercitazione di teoremi da geometri?
Un tempo il mecenatismo, i grandi committenti, fungevano, da freno moderatore, per cui gli artisti si muovevano entro schemi e linguaggi a dimensione umana; credo che l'arte dei nostri padri non ne abbia punto sofferto!
Io credo che la acutezza vigile del pittore debba servirsi del vero, della natura, come di un dizionario da consultare, facendo sentire ai propri simili l'aspetto delle cose attraverso la propria sensibilità, che, come una lente, filtra la realtà.
Quello che io ho creduto di dire nasce da considerazioni che maturano attraverso l'osservazione e il lavoro quotidiano.; vorrei che la mano - almeno in parte - mi avesse ubbidito!
Sogni di Sicilia - 1972
Esporre le mie figure in una galleria attigua a piazza Duomo è idealmente come realizzare il sogno di quei miei conterranei che, in tempi poco lontani, appoggiati o seduti sui bastioni delle piazze del sud abbacinate dal sole, anelavano una migrazione a Milano.
Tarchiati, gravi nel gesto e con gli abiti smunti, facevano capannello ora intorno all'anziano dalle rughe come la corteccia delle piante, ora intorno al più giovane con il taglio fresco dei capelli della ferma. Tutti avevano i volti cotti dal sole e l'espressione avida di notizie lontane...
Io, questi uomini li ho ascoltati all'ombra dei carrubi e dei muri a secco delle trazzere; li ho studiati quando, ricurvi sui campi della mietitura, intonavano i canti dell'aia e quando chinati sotto le fronde sudavano nella raccolta delle olive, mentre intorno la campagna primitiva infuocata li incorniciava, protagonisti di un gesto nobile e antico.
Ma più tardi, ho rivisto alcuni di loro nel Nord, "URBANIZZATI", pallidi in viso e con gli abiti alla moda: tradivano negli occhi la nostalgia delle loro contrade profumate di rosmarino, del tremulo belato delle pecore cui rispondeva grave il campanaccio delle mucche prima di perdersi nei cieli di cobalto - luoghi dove il tempo e le speranze scorrevano silenziose come grani di sabbia nella clessidra...-.
Immagini dalla mia Sicilia - 1958
Di questa convinzione mi giovo per ricostruire l'atmosfera lietante di certe manifestazioni che ancora oggi in alcuni paesi della mia Sicilia continuano la tradizione: sono feste, carnevali, ove tuttavia non è difficile intravedere una punta di patetico e di drammatico, sia pure mascherato con volti e corpi ora burleschi, ora demoniaci. Le facce rugose, scavate e rassegnate, come d'incanto in quelle occasioni si trasformano accendendosi misteriosamente, quasi per sfuggire un attimo alle calamità di una vita scottante ed angosciosa. Queste immagini ora si avvicendano nella mia mente come un eco che giunge da lontano, componendosi in un ritmo ora festoso, ora drammatico, articolandosi come una danza stimolata da una musica selvaggia; visioni, che a me piace ambientare in località disparate, come un burattinaio che trasloca i propri pupi da un paese all'altro.
Immagini dalla mia Sicilia - 1966
Una stradicciola; un rado andirivieni di carretti e carrettieri, di uomini dei campi, animavano lo spazio della contrada desolata.
I personaggi a piedi, a schiena d'asino o di mulo, giungevano a me preceduti dal sussurro di una cantilena, come un lamento, che sembrava venire da lontano, dal fondo della terra, per perdersi nell'afoso pomeriggio. A me, che cercavo rapidamente di schizzare sulla carta quelle figure in movimento, le nenie fissavano l'immagine più viva e più a lungo nella mente. Erano figure dalla schiena curva e sformata, chiuse nelle loro giacche cascanti e stinte. Ma avevano qualcosa di maestoso e primitivo insieme, una dignità arcaica, racchiusa in una forma che affratellava uomini e bestie ad un eguale destino.
All'orizzonte il sole grande ed infuocato allungava le ombre dei fichidindia sulla terra, come mani bramose dalle dita tozze. In lontananza gli iblei dalla terra rossa e cosparsa qua e là dal verde dei carrubi, facevano pensare ad una fiera spellata che muta pelo. Là sulle falde, il mio paese disseminato a ferro di cavallo costeggiava monte Apollo che, come per dargli posto, sembrava ritirarsi.
L'ultimo sole salutava rifrangendosi alto, sulle vetrate dell'antica cupola. In mezzo ai cumuli di case, trillava dorato prima, più freddo dopo, come una lagrima sul viso rugoso.
Riflessioni sparse - 1966
Penso che un pittore non debba preoccuparsi della maniera di dipingere, ma soltanto di esprimere pittoricamente le immagini dei suoi sentimenti. A tal proposito sono convinto che il modo migliore per non produrre una pittura subito vecchia, è non preoccuparsi affatto di farne della nuova.
I colori, le linee, sono evidenti solamente quando abbiamo perduto di vista la pittura, così come le parole sono evidenti (cioè solo parole) quando non riflettono l'immagine musicale della poesia.
Certe teorie programmate ci rendono giustamente diffidenti e cauti: v'è una concezione troppo mistificata dal ragionamento, la quale presuppone più un fatto di logica che il calore di un sentimento che, ci pare, sia la sola forza valida capace di trasformare in espressione ed immagine la realtà.
In passato, malgrado molti vari e rivoluzionari avvenimenti, quali l'invenzione della stampa, della polvere da sparo, la scoperta del nuovo continente, gli artisti non parvero intenzionati a rivoluzionare il loro "linguaggio artistico". Erano più...semplicioni di noi contemporanei, oppure semplicemente più seri?
Supponiamo (per assurdo) che il nostro pianeta venga annientato senza il minimo rimasuglio di civiltà contemporanea, ad eccezione di un centinaio di quadri, scoperti più tardi da extra-terreni.
Mi pare di vedere le loro "antenne convulse" davanti a quei buchi, tagli, stracci e sbrodolature. Ve le immaginate, le superperizie dei loro scienziati archeologi alle preseper ricostruire la nostra età contemporanea?
E, dopo infiniti tentativi, analisi complicate e responsi elettronici, chissà come essi ricostruirebbero le sembianze degli autori che di tali opere furono gli artefici e che in codeste forme intesero tramandare ai posteri costumi e civiltà del loro Tempo?
Salvatore Jemolo