[Recensione apparsa sulla rivista Archivio Storico Lombardo, a. LIV (1927/1) pp. 138-144]
GIULIO C. ZIMOLO. Pontida. Estratto de "La Rivista di Bergamo " N. 4, Anno V, Bergamo 1926, pp. 15.
Riassunte brevemente le notizie riguardanti la celebre abbazia di Pontida fino ai tempi nostri, l'autore ferma la sua attenzione intorno al congresso o giuramento che colà dicesi tenuto il 7 aprile 1167. E' opportunamente avverte che Pontida e Legnano andarono indissolubilmente unite per tutto il periodo del nostro Risorgimento, e furono "segnacolo in vessillo " del riscatto nazionale, mentre, in realtà, la Lega Lombarda mirava soltanto a conservare ai Comuni l'autonomia e i privilegi col consenso dell'imperatore tedesco, la cui supremazia nessuno allora si sognava di discutere.
Senonché intorno al congresso di Pontida sorsero delle incertezze, e specialmente dopo la pubblicazione della " Storia Diplomatica della Lega Lombarda " del Vignati: oggi non solo è assodato, che l'origine della Lega è anteriore, come ce lo provano gli atti di Bergamo e di Cremona del marzo 1167, ma è altresì messo in dubbio, anzi negato (1), che a Pontida siasi tenuto un congresso.
Ed infatti di quest'ultimo non vi è cenno in nessun scritto e documento contemporaneo e posteriore fino al Corio. Dei cronisti coevi parlano bensì d'un congresso o congiura avvenuta in quel torno di tempo, ma in modo generico, e di questi qualcuno afferma che in esso si sarebbe deliberata la riedificazione di Milano, ma senza determinare né il giorno né il luogo dellavvenimento, per cui nulla di preciso si può ricavare. Né può venir lume dalle quattro lapidi del monastero commemoranti tal fatto, poiché dallo stile si ritengono ormai posteriori a quel tempo e dipenderebbero dal racconto del Corio (2). E tanto meno dal " frater Jacobo " del noto bassorilievo, oggi conservato nel Museo Archeologico di Milano, il qual frate precede i milanesi rientranti in città accompagnati dai militi di Bergamo, Brescia e Cremona, e che si vorrebbe il priore o un monaco del monastero di Pontida; giacché la presupposta identificazione potrebbe essere verosimile solo nel caso che si potesse dimostrare che in quel monastero vi si tenne realmente un congresso o qualcosa di simile.
Nondimeno l'autore, basandosi sugli accenni del Sicardo, (3) dell'anonimo continuatore di Acerbo Morena, (4) e del biografo di S. Galdino, (5) i quali parlino appunto di un congresso in cui si sarebbe decisa la ricostruzione di Milano, propende ad ammettere la quasi necessità di un terzo congresso nel quale si sarebbe di ciò trattato, poiché non si fa parola in quello di Cremona, e che in tal caso potrebbe corrispondere a quello di Pontida.
Senonché riguardo al congresso di Cremona, (6) nel quale compaiono per la prima volta i milanesi, il Mazzi ha fatto delle osservazioni che ci sembrano degne di rilievo. Egli afferma cioè che in quel convegno si decise la riedificazione di Milano, come lo prova " il formulario usato, che non conosce che città e loro consoli, mentre prima i milanesi non erano considerati più che burgenses, privi quindi del diritto di iniziare qualsiasi impresa e di vincolarsi coll'altre città: essi dovevano essere riposti in una condizione conforme al concetto tradizionale e giuridico di città ". E più sotto, in nota, aggiunge che " le espressioni di questo atto cremonese ammettono implicitamente Milano città riedifìcata: " si a consulibus suprascriptarum civitatum qui tunc erunt - et si consules suprascriptarum civitatum qui tunc erunt - et in vestris civitatibus ac episcopatibus ab omni homine vos adiuvabo ". E siccome tale e quale questo patto doveva essere giurato da tutti i collegati, torna notevole anche l'inciso: " et omnes homines nostrae civitatis... suprascriptum sacramentum iurare faciemus ". (7) Il termine poi pel giuramento di questi patti, da parte di tutti i cittadini fra i 15 e i 60 anni di età, (8) è rimandato alle prossime calende di maggio, evidentemente, osserva sempre il Mazzi, per dar tempo ai milanesi di raccogliersi nella risorta città, (9) nella quale infatti entrarono il 27 aprile scortati da milizie bergamasche, bresciane e cremonesi, e dalle quali furono aiutati a rialzare le opere di difesa (10). La compilazione dell'atto presuppone però non soltanto l'intenzione, circa come decisa la ricostruzione della città, e di conseguenza anche il termine per ricondurvi i milanesi.
All'autore, poiché nell'atto non si accenna esplicitamente a tale riedificazione, le osservazioni del Mazzi non parvero sufficienti, e gli sembrò invece più naturale che in quel congresso si riconoscesse soltanto ai milanesi una condizione conforme al concetto tradizionale e giuridico di città, senza che per allora vi si decidesse la resurrezione materiale della, città (11). L'interpretazione ci sembra assai sottile, lontana dal pieno contenuto effettivo del formulario e delle espressioni dell'atto cremonese. Non era certamente quello il momento in cui, in un trattato politico di così alta importanza, si potessero usare formule ed espressioni per sottilizzare all'infuori della pressante realtà.
Del resto il continuatore di Acerbo Morena ci fa sapere che in quel medesimo congresso, o colloquio com'egli scrive, nel quale si strinse la lega coi milanesi, venne altresì stabilita la riedificazione di Milano e fissato il termine nel quale le truppe alleate avrebbero condotto i milanesi nella loro città: " quo quidem sic peracto omnes leto animo ab ipso colloquio separati sunt ". (12) E poiché sappiamo che tale alleanza si strinse in Cremona, ne segue che colà si è pure deciso quanto sopra afferma l'anonimo lodigiano (13). Verrebbe quindi meno anche lulteriore ipotesi sottile e disperata, insinuata dall'autore, quella che a Cremona possa esser stata decisa la riedificazione in un congresso posteriore e le formalità e la data di essa.
Il continuatore di Acerbo Morena nomina anche i ferraresi come presenti a quel congresso nel quale si strinse l'alleanza coi milanesi, ma è evidentemente una svista dello scrittore. I ferraresi non erano ancora entrati nella lega e infatti non compaiono in nessun atto della Lega Lombarda anteriore a quello del 1 dicembre 1167; atto nel quale le città lombarde prestano giuramento d'alleanza con quelle della Marca e con Venezia e Ferrara. Ciò invece non si può dire dei mantovani, per quanto questi, mentre sono nominati in un primo trattato del 22 maggio, fra Lodi e le città alleate, in un secondo trattato stipulato, subito dopo, nello stesso giorno e fra le medesime città, non risultano, e non saprei per quale ragione, partecipanti. I mantovani, a differenza dei ferraresi, compaiono come alleati in atti anteriori e posteriori a quel secondo trattato. Non hanno perciò fondamento le deduzioni che ne fa l'autore per sostenere la necessità di un terzo congresso, e cioè poco dopo quello di Cremona e che potrebbe corrispondere a quello di Pontida, al quale avrebbero partecipato i ferraresi, e dove sarebbe stata decretata la riedificazione di Milano e il giorno per ricondurre i milanesi in patria. E bensì vero che alcuni cronisti coevi, come il Sicardo e il biografo di S. Galdino, parlano soltanto di un congresso in cui fu deliberata la ricostruzione di Milano, senza accennare esplicitamente al trattato di alleanza; ma essi, così scrivendo, badarono più che ad altro all'effetto pratico, decisivo, tangibile vorrei quasi dire, di quel medesimo congresso, nel quale si strinse tale alleanza, qual era quello della decisione di far risorgere la potente città distrutta, impresa ben impressionante per la sua aperta e audace sfida alla potenza imperiale. Che poi il congresso siasi tenuto con segretezza, lo richiedeva un'elementare prudenza, onde evitare ai milanesi, ancora dispersi nei borghi circostanti alla città, terribili rappresaglie da parte del podestà imperiale conte di Diez. Ed è probabilmente questa la ragione per cui nella redazione dell'atto si è taciuto quanto riguardava la ricostruzione di Milano e il giorno determinato per ricondurvi i milanesi. Il congresso non rimase tuttavia tanto segreto perché il Diez n'ebbe qualche sentore (14).
Dopo tutto, la questione del congresso di Pontida si riduce al Corio (1459-1519), unica fonte: egli per primo l'asserì nella sua storia di Milano, pubblicata nel 1503; e da lui copiarono in seguito tutti gli altri, presso i quali, perché scritta in italiano, l'opera sua incontrò largo favore. Nemmeno il Fiamma, il che è tutto dire, non accenna alcunché di quanto afferma il Corio.
Ora, a detta dello stesso autore, non è ignoto quanto scarsa sia l'autorità del Corio, e come si dimostri molto meno critico, per es., di un altro storico milanese suo contemporaneo, il Calchi, il quale scrivendo lui pure una storia di Milano non accenna affatto ad un congresso tenuto a Pontida, dimostrando così o di nulla sapere di tal congresso o di non avervi creduto perché leggendario (15).
Ed infatti, per quello che riguarda il punto controverso, se poniamo a confronto il continuatore di Acerbo Morena col Corio, si vede che questi prese da quello, e non vi aggiunse di suo che il luogo e la data del congresso e il discorso anacronistico di Pinamonte da Vimercate, il quale invece non risulta nemmeno fra i nomi dei delegati milanesi al congresso di Cremona. Perciò il Mazzi non dubitò di asserire che su questo punto il Corio non ebbe alla mano fonti speciali. E alla domanda, che qui viene spontanea, da quali ragioni, cioè, poté essere indotto lo storico milanese ad inserirvi le sue aggiunte, il Mazzi ritenne di poter rispondere che la conoscenza, forse, del fatto che la famiglia dei Vimercate ebbe anteriormente alla lega possessi a Cisano ed a Caprino nella Valle S. Martino (Riboldi, loc. cit.), (16) e dei favori pubblicamente accordati da Milano al sorgente monastero di Pontida. (Corio, 1, p. 130), (17) deve aver concorso nella mente del nostro autore a far congiungere i due nomi (Pinamonte e Pontida) ed a fargli credere di poter supplire così al silenzio dei contemporanei. D'altra parte, non presentavasi anche l'occasione di far vedere come il monastero potesse dimostrare la sua riconoscenza accogliendo coloro che volevano rialzata la generosa città? Quanto poi alla data, essa non era che un necessario ma fantastico complemento; perché nell'aprile i ferraresi non partecipavano ancora alla lega, e non vi partecipavano nemmeno nel maggio seguente, come risulta all'atto di Lodi (Vignati; op. cit., p. 123 e seg.); così anche per questo solo si vede come tutto quanto afferma il Corio non sia che un'amplificazione da lui solo immaginata del racconto del continuatore di Acerbo Morena(18).
Il prof. Zimolo conclude il suo lavoro coll'affermare che la questione rimarrà insoluta, fino a tanto che non si conosca la fonte donde il Corio trasse la sua notizia. Ma purtroppo dal Corio in poi, nonostante le ricerche fatte, non venne fuori documento veruno, che provasse la sua asserzione. E lecito perciò supporre che non se ne rinvennero appunto perché non ne esistevano.
Del resto, qualora non si voglia ammettere, come vuole il Mazzi, che le aggiunte siano proprio un parto della fantasia dello storico milanese, ma invece ch'egli le abbia ricavate da qualche altro scritto ora smarrito, resta pur sempre tanto da poter dire che quella fonte non era sincrona ma posteriore, e quel che più importa, spuria, come ce lo prova il discorso anacronistico di Pinamonte (19) e che quindi le sopradette asserzioni in essa contenute, non corrispondevano al vero.
Infatti esse non trovano alcun riscontra negli atti diplomatici della Lega Lombarda e nemmeno nei cronisti e storici contemporanei e posteriori fino al Corio. Esclusa pertanto, allo stato presente delle conoscenze storiche, ogni seria probabilità di un congresso a Pontida, rimane la possibilità. Il campo del possibile è immenso e non ha per contrapposto che l'impossibile, ma allora dalla cerchia della critica storica si passa facilmente in quella dell'immaginazione. Con tutta probabilità si deve dunque negare l'esistenza del congresso di Pontida. Del resto, sia esistito o no, è in ogni caso di poco interesse storico, perché un congresso del 7 aprile non può aver avuto una grande importanza.
Il prof. Zimolo ha prospettato e sostenuto una tesi la quale ci sembra poco convincente. Ad ogni modo, col promuovere nuove indagini, si viene a sollevare dibattito di idee, le quali servono a schiudere il passo alla verità.
R. BERETTA