Lettera a S. Carlo
Gli altri anni, in questo inizio di estate, ero solito inviare una lettera alla diocesi sul programma pastorale che avrebbe avuto inizio con il successivo 8 settembre.
Quest'anno abbiamo due eventi connessi con il IV centenario di S. Carlo, che terranno impegnata la nostra programmazione pastorale ancora per alcuni mesi: il convegno diocesano di Busto Arsizio sulla catechesi per e con gli adulti (30 settembre - 6 ottobre 1984) e la visita del Santo Padre per San Carlo (4 novembre). La lettera pastorale sul programma dell'anno prossimo uscirà dopo questi eventi.
Ho pensato perciò in questo tempo estivo di inviare, per la considerazione dei singoli e dei gruppi, alcune riflessioni suggerite dal IV centenario della morte di San Carlo che stiamo vivendo.
La forma letteraria potrà apparire inconsueta, ma non è certo nuova. Vorrei soltanto che, attraverso le parole, passasse un po' di quel fuoco che ha l'Illuminato il cuore e la vita del Borromeo.
Milano, 17 luglio 1984
+ Card. Carlo Maria Martini
L'eredità spirituale di san Carlo Borromeo
Il Pastore e il suo popolo
Il IV centenario della morte di san Carlo ha suscitato e sta suscitando numerose iniziative. Ricordo in particolare il pellegrinaggio della croce di san Carlo per tutta la diocesi ambrosiana; il Convegno di studiosi e di storici tenutosi nel maggio scorso a Milano; il Convegno catechistico diocesano preparato attraverso un'inchiesta che ha coinvolto oltre 100 mila persone; la visita ambita di Giovanni Paolo II che concluderà il centenario recandosi pellegrino sui luoghi più cari a san Carlo. Tutto ciò ha concorso e concorrerà a rendere più viva e più attuale la figura di colui che è stato uno dei più grandi vescovi della storia della Chiesa.
Ma debbo confessare che proprio per questo motivo, da quando sono divenuto vescovo di Milano, alla confidenza con cui ero solito invocare san Carlo come patrono è subentrato un po' di timore nei suoi confronti. Mi sentivo rimproverato dalla sua vita austera, dal suo lavoro infaticabile. Mi affascinava e insieme mi inquietava la sua capacità di saper tradurre le idee pastorali in gesti concreti, perfino minuziosi e di curare fin nei più piccoli particolari l'attuazione dei suoi programmi. Tuttavia mi è tornata alla mente con insistenza un'osservazione di Jacques Maritain: «I santi continuano ad occuparsi delle cose della terra e a interessarsene... Ciascuno di essi ha anche le sue idee su ciò che riguarda più specificamente la missione che aveva quaggiù...». Queste e altre motivazioni mi hanno dato il coraggio di suggerire al popolo ambrosiano alcune riflessioni, usando una forma letteraria inconsueta: quella di scrivere una lettera a san Carlo e immaginare un dialogo con lui sugli argomenti, che pur variando nei tempi, rimangono ancorati all'essenzialità dell'uomo.
L'occasione propizia mi è stata offerta quest'estate dal giorno anniversario dell'ordinazione sacerdotale di san Carlo, avvenuta il 17 luglio 1563 e seguita dal mese di esercizi spirituali che si è rivelato decisivo nella vita del santo. Ho cominciato coll'osservazione che come successore di san Carlo ho ricevuto io per primo una lettera da lui e la sto decifrando giorno per giorno: è la lettera «non scritta con l'inchiostro ma con lo Spirito di Dio vivente, non su tavole di pietra ma nei cuori degli uomini». E la diocesi di Milano alla quale san Carlo ha dedicato tutta la sua vita per farla diventare una lettera scritta dal Signore.
Cerco di "leggere" questa diocesi con attenzione e affetto. Mi domando quanto la predicazione si fondi apertamente sui testi biblici. Fino a che punto la lectio divina, la meditazione orante della Bibbia applicata ai fatti della vita quotidiana, sia davvero diventata un impegno costante almeno dei credenti più sensibili; se l'eucaristia stia davvero al centro della vita e della missione della nostra Chiesa, così come abbiamo proclamato nel Congresso eucaristico; se il tema della missione e della catechesi stia rinnovando decisamente l'azione pastorale delle nostre comunità. Sono ottimista. Ma vorrei capire meglio come il Signore vuole che camminiamo in questo momento di Chiesa. Perciò sono andato cercando negli esempi della vita di san Carlo e nelle pagine dei suoi scritti consigli e suggerimenti pratici per un tempo come il nostro, di prova della fede.
Allora ho scoperto che san Carlo, grande uomo d'azione, è anzitutto un grande contemplativo. Dopo gli esercizi spirituali in preparazione alla sua prima messa, egli si è messo in un cammino disciplinato di preghiera interiore che non ha mai più abbandonato. Lunghe ore di adorazione soprattutto notturne; lacrime e riflessioni davanti al crocifisso o davanti agli episodi umani, in cui più vivi si esprimono il dramma del peccato e il mistero della sofferenza. Mi ha particolarmente colpito il discorso con cui san Carlo, pochi mesi prima di morire, ha concluso l'XI Sinodo diocesano, il 21 aprile del 1584. Egli chiede ai partecipanti di impegnarsi ad osservare con scrupolosa diligenza tutte le deliberazioni sinodali, e aggiunge: «Decidiamo di servire Dio perché vogliamo bene a Lui e non perché abbiamo paura dei castighi minacciati. Sia Lui solo la causa, il fine e il premio del nostro amore per Lui».
Parole come queste mi convincono sempre di più che i problemi pastorali, pur senza perdere la loro urgenza e complessità, devono trovare un punto di riferimento e di partenza nella contemplazione del mistero di Dio. Mi pare di poter ricavare dagli insegnamenti del mio grande predecessore anche due consigli particolari.
1) Occorre dare un metodo alla preghiera e alla vita. Noi ora siamo in tempi diversi dai suoi, in cui sentiamo l'esigenza di una maggiore spontaneità e creatività. Ma occorre avere anche l'umiltà di imparare a pregare senza fidarci troppo degli impulsi spontanei. E' necessaria una disciplina del corpo. Occorre dare regolarità alla vita. Non si può conciliare un ritmo sano di preghiera con la televisione sempre accesa, con l'incertezza dell'ora della levata mattutina, con la troppa golosità e intemperanza. Gli educatori devono insegnare a ragazzi e giovani i diversi itinerari corporei e mentali di preghiera; occorrerà ampliare e perfezionare le scuole della Parola, gli strumenti concreti, le indicazioni pratiche per educare l'uomo d'oggi a una seria e regolare vita di preghiera.
2) Un secondo consiglio ricavabile dagli insegnamenti di san Carlo riguarda la coralità della preghiera e della vita di fede. Lo stesso cardinal Montini, in un discorso tenuto per la festa di san Carlo, rilevava come più caratteristico in lui il tentativo di creare una santità di popolo, una santità collettiva, di fare santa tutta la comunità. Durante i mesi drammatici della peste le campane invitavano alla preghiera a intervalli regolari e le messe celebrate su altari all'aperto, così da essere visti da coloro che erano rinchiusi nelle case, trasformavano l'intera città in un'unica grande chiesa.
Anch'io ho riscoperto durante le giornate finali del Congresso eucaristico la reale possibilità di una preghiera corale dentro la vita convulsa di Milano. E qualcosa di simile è accaduto nella processione del Venerdì santo: abbiamo sperimentato che si può pregare, tacere, meditare, cantare, anche oggi, anche in tanti, anche in una città moderna, laica e complessa come Milano. Ciò deve farci riflettere e darci il coraggio di tentare forme sempre nuove per proclamare dentro la città secolare il desiderio dell'assoluto, la ricerca dei valori universali e definitivi, l'ascolto di una Parola, che non viene da noi, ma scende come dono puro e misericordioso dal cuore di Dio.
+ Card. Carlo Maria Martini