"I care", come 40 anni fa. Se la scuola guarda alla vita

di MAURIZIO GUARNASCHELLI

Quarant'anni fa veniva pubblicata "Lettera a una professoressa". Quarant'anni fa moriva don Lorenzo Milani. Chi nel '67 era un ragazzo, probabilmente avrebbe presto sentito gli echi del "Maggio francese"
del '68 e, a poca distanza, in virtù di una macchina del tempo che aveva improvvisamente cominciato a correre, dell'"Autunno caldo" italiano del '69. Avvenimenti forse non ancora metabolizzati dalla storia
ma che, ai ragazzi di quel tempo, son rimasti addosso come un vestito a cui ci si è forse troppo affezionati.
Ciò che a prima vista poteva apparire come un libro, in realtà fu un'esperienza e, come tale, finì per coinvolgere in tanti giovani la passione, i sentimenti, i sogni che dall'adolescenza portano alla
maturità, allo scoprirsi persone, soggetti portatori di cambiamento e non solo depositari di speranze.
Don Lorenzo Milani, priore ed anima della scuola di Barbiana, che ufficialmente firmò il libro, fu, come si è usato spesso dire, un "prete scomodo". D'altro canto, il mettersi al limite era un esercizio
quotidiano della scuola del Mugello: "Estremizziamo i concetti per capirli meglio", era una delle frasi più ricorrenti. Così come la famosa "I care" che capeggiava da un cartello sul muro dell'aula, in
contrapposizione al motto fascista "Me ne frego".
Libri, articoli, saggi, conferenze e molto ancora; eppure su questo prete e la sua scuola è
ancor oggi difficile tracciare un bilancio capace di rendere giustizia della mole di idee, proposte, provocazioni. Dare una definizione di Barbiana in poche righe è difficile, ma forse ce n'è una che le
riassume tutte: era scuola. Di scienza, di lingua, di pensiero, di vita. Franco Gesualdi, che del priore fu allievo, ebbe a dire della scuola: "Il suo obiettivo era fare di noi degli uomini liberi, capaci
di capire la realtà, di difenderci, di partecipare, di pensare, di scegliere": quale ministro oggi sottoscriverebbe questo programma senza qualche preoccupazione dell'effettiva possibilità di raggiungere
tali mete?
Il confronto coi nostri giorni è inevitabile. Prèsidi malmenati dai genitori, insegnanti filmate col telefonino, senza contare
l'ultimo best seller sul mondo scolastico "La classe fa la ola mentre spiego". Certo, la scuola non è solo questo ma è significativo che questo sia ciò che raccontano i giornali e le TV della scuola. "A
sentire tanti intellettuali o pedagogisti di oggi, Barbiana, sarebbe diventata ormai una semplice metafora. Un non luogo, utopico per intenderci, quindi irraggiungibile! Forse è proprio per questo motivo
che don Milani è diventato, ormai, più un simbolo o un mito che un maestro concreto e non fa più paura. Lui che ha passato il suo tempo a contestualizzare e demistificare la storia diventa suo malgrado un
mito dell'educazione o un santino in più da mettere su un piedistallo", così Edoardo Martinelli, un altro allievo del priore di Barbiana.
Don Milani ed i ragazzi della scuola lavorarono molti mesi al testo della Lettera, raccontando la propria condizione di emarginati soprattutto da un sistema educativo che nulla faceva perché tutti potessero essere cittadini in egual misura. Non per nulla Pier Paolo Pasolini ebbe a scrivere, a proposito di Lettera a una professoressa: "Don Milani ha portato a termine l'unico atto rivoluzionario di questi anni".

 

Il "Testamento" di Barbiana:

  • Cercasi un fine. Bisogna che sia onesto. Grande. Io lo conosco. Il priore me l'ha insegnato da quando avevo 11 anni e ne ringrazio Dio. Ho risparmiato tempo. Ho saputo minuto per minuto perché studiavo. Il fine ultimo è dedicarsi al prossimo.

  • Avevamo un libro di anatomia. Si chiudevano a guardarlo in un cantuccio. Due pagine erano tutte consumate. Più tardi scoprirono che son belline anche le altre. Poi si accorsero che è bella anche la storia. Qualcuno non s'è più fermato. Ora gli interessa tutto. Fa scuola ai più piccini, è diventato come noi. Qualcuno invece siete riusciti a ghiacciarlo un'altra volta. Delle bambine di paese non ne venne neanche una. Forse era la difficoltà della strada. Forse la mentalità dei genitori. Credono che una donna possa vivere anche con un cervello di gallina. I maschi non le chiedono di essere intelligente. È razzismo anche questo.

  • Gianni non sapeva mettere l'acca al verbo avere. Ma del mondo dei grandi sapeva tante cose. Del lavoro, delle famiglie, della vita del paese. Dalla vostra scuola era uscito analfabeta e con l'odio per i libri. Noi per lui si fecero acrobazie. Si riuscì a fargli amare non dico tutto, ma almeno qualche materia. Ci occorreva solo che lo riempiste di lodi e lo passaste in terza. Ci avremmo pensato noi a fargli amare anche il resto. Ma agli esami una professoressa gli disse: "Perché vai a scuola privata? Lo vedi che non ti sai esprimere?" Lo so anch'io che il Gianni non si sa esprimere. Battiamoci il petto tutti quanti. Ma prima voi che l'avete buttato fuori di scuola l'anno prima. Bella cura la vostra.

  • Allora è più onesto dire che tutti i ragazzi nascono eguali e se in seguito non lo sono più, è colpa nostra e dobbiamo rimediare. E' esattamente quello che dice la Costituzione quando parla di Gianni: "Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di razza, lingua, condizioni personali e sociali".